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Recensioni a piede libero: IL PRINCIPE

“Machiavellico”: è davvero difficile entrare nell’uso della lingua con un termine che ricalca un cognome. O almeno è quello che speri, dopo aver visto che sono entrati nel vocabolario anche parole come Reaganismo e Ferragnez.

Nel caso di Niccolò Machiavelli, storico, politico e diplomatico fiorentino vissuto tra il 15° e il 16° secolo, il termine a lui ispirato rimanda peraltro a concetti che lo stesso Machiavelli non avrebbe pienamente accettato, come l’applicazione del più subdolo cinismo nei rapporti politici e sociali, perché derivanti da una reputazione prodotta da disapprovazioni e scarsa comprensione del suo lavoro, in particolare di quella che è considerata la sua opera più celebre, “Il Principe” (“De Principatibus” il suo titolo originale).

E pur vero che Machiavelli sosteneva che il fine della politica è la promozione della potenza di uno stato, che ogni mezzo utile a tal fine è lecito, anche se immorale, in quanto l’etica deve essere separata dall’azione politica, e che personaggi come Mussolini, Craxi e Berlusconi, che lo hanno commentato con ammirazione, non vedevano l’ora di sentirselo dire, ma per comprendere e collocare un’opera singolare come “Il Principe”, trattato che ha rivoluzionato per sempre la concezione della politica, è necessario partire dal suo contesto.

Una delle principali caratteristiche del primo Cinquecento in ambito culturale fu la tendenza a fissare norme rigorose in tutti i campi della vita sociale, sulla scia della trattatistica del passato e della centralità che soprattutto nel Rinascimento fu attribuita all’uomo e alla sua forza trasformatrice.

In questo periodo, in una Italia dilaniata da continue guerre, Niccolò Machiavelli, sollevato dai suoi incarichi diplomatici, decide di osservare in maniera rigorosa e distaccata il mondo che lo circonda, traendone regole generali e comportamenti da tenere per destreggiarsi nella gestione di uno Stato; questa indagine, per quanto possibile sistematica e svolta come potrebbe accadere per una dimostrazione matematica, per una classificazione botanica o per un elenco di tutti i partiti di sinistra, porterà alla composizione de “Il Principe”.

È dunque nell’ambito di questo spirito classificatorio, con la politica studiata come scienza della realtà, che Machiavelli espone le sue teorie sui meccanismi del potere, su come conquistarlo e su come mantenerlo nel tempo, consolidandole con esempi provenienti dal mondo classico ma anche a lui contemporanei, con l’obiettivo di essere in grado di controllare la “fortuna”, ovvero l’inevitabile susseguirsi di eventi imprevisti, con la “virtù”, declinata in diverse capacità che un Principe deve possedere.

Esempi come quello di Cesare Borgia, considerato crudele dal popolo ma capace di unire e di pacificare la Romagna, o quello di Agatocle, che dal niente divenne Tiranno di Siracusa con un costante esercizio della violenza e la cui stabilità era proprio per questo sempre in bilico, sono utili a mostrare ciò che per Machiavelli bisogna o non bisogna fare per governare in maniera duratura e proficua, come risultato dell’equilibrio di varie situazioni e componenti.

I ventisei capitoli dell’opera creano un mosaico nel quale si specchia il Principe ideale, che deve essere prudente, carismatico, saggio e integerrimo, anche se non deve aver paura di “sporcarsi le mani” per il bene dello Stato che governa, in nome dell’autonomia della politica dalle norme morali che disciplinano le condotte dei singoli; questa finalità è senz’altro distante dalla nostra concezione figlia dello Stato di diritto, ma in ogni caso Machiavelli non esorta mai ad utilizzare una tale autonomia per fare del male o perseguire i propri tornaconti personali.

L’intento de “Il Principe”, già dal titolo, è quella di trattare dei principati, e la preferenza per la monarchia rispetto all’ideologia repubblicana, che era stata indicata come migliore in altre sue opere, è dovuta fondamentalmente alla sfiducia verso la classe dirigente del tempo, litigiosa e portatrice di interessi particolaristici, e al bisogno di superare la frammentarietà dell’Italia (sembra ieri…).

Paradossalmente però, per quanto il Principe sia un uomo solo al comando e per quanto il fine giustifichi i suoi mezzi (secondo la famosa frase attribuita a Machiavelli che però lui non ha mai scritto), lo Stato deve essere anteposto alla volontà del Principe proprio poiché egli non è padrone, bensì servitore dello Stato (“un Principe che può fare quello che vuole è un pazzo; un popolo che può fare ciò che vuole non è savio”).

Insomma, Machiavelli parla ad un sovrano del Cinquecento ma potrebbe ben riferirsi anche a noi, e il Principe in grado di unire l’Italia contro gli invasori dovrebbe suggerire alle nostre Istituzioni politiche e sociali, in quel poco tempo libero in cui non sono impegnate ad affossarsi tra di loro, di prendere insieme le redini del Paese per condurlo in acque tranquille, resistendo al fiume in piena rappresentato dalla fortuna con l’argine della virtù.